Arrivo a Phnom Penh

La scelta di arrivare a Phnom Penh nel nostro caso è puramente logistico-economica, nel senso che il volo più economico che abbiamo trovato ci porta in Cambogia dalla Cina, con scalo a Guangzhou, in tempi tutto sommato accettabili, nonostante qualche concessione alla comodità e una strana gestione del “rifocillamento passeggeri”. In pratica, cena e ricena a distanza di 8 ore ma in compenso bevande in abbondanza. Fortuna che i bagni non mancano.

Il volo è tranquillo nonostante qualche turbolenza e alla faccia dei rating terroristici della China Southern Airways. Facciamo scalo in Cina tra il sonno e la stanchezza ed è solo al millesimo tentativo di guardare gmail dal Wi-Fi dell’aeroporto, che stranamente aveva consentito la connessione in VPN al mio pc di casa, che realizzo che forse è un problema di censura e maledico il comunismo più di quanto non faccia di solito! Vista la quasi assenza di negozi aperti alle 5 di mattina, non resta che sbragarsi su una poltroncina e dormicchiare fino al nuovo imbarco. Dire che siamo stanchi immagino sia superfluo… siamo più accinghialati del solito.

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Il volo di scalo parte con comodo e arriviamo a Phnom Penh con almeno un’ora di elegante ritardo. Anche le formalità aeroportuali non sono chiarissime (a me hanno chiesto una cosa, a Cri un’altra, con stile e modi diversi tra un addetto e l’altro). Mi vengono in mente le disavventure marocchine di qualche anno fa, ma alla fine compiliamo la entrance card e usciamo nel mondo di fuori.

Fatti due passi fuori dalla porta intravediamo stand di compagnie telefoniche dai colori assordanti e recuperiamo una SIM locale. Poi, col dubbio di essere state “male informate” sul traffico effettivo, ci dirigiamo verso il nostro hotel con il primo di una lunga serie di tuk tuk. Uno di quelli più fighetti, capiremo poi, con il nome di quella che sembra essere l’app per chiamarli su una fiancata. Concordiamo una tariffa di 6 dollari anche se siamo consapevoli che si potrebbe forse scendere di più… ma dopo 20 ore di volo scomodissimo e con pochissime ore di sonno alle spalle la voglia di stare a contrattare proprio non c’è. La sim card dimostra una resa altalenante, con picchi che vanno da 4g ad assenza totale di connessione. Confidiamo nel Wi-Fi.

Il nostro albergo si chiama Panda Hotel. È carino, pieno di motivi decorativi pandosi, ha il tempietto di ordinanza all’ingresso e si trova vicino al mercato centrale. Le strade intorno sono piene di neon, baracchini, attività più o meno comprensibili e accrocchi di tavolini e ombrelloni sotto cui bivaccano per scopi non definiti soggetti ambosessi di diverse età e diversamente abbigliati. Una costante sono comunque le infradito. Dal nonno al nipote sono quasi tutti in ciabatte, a parte i piccolissimi che camminano o gattonano su pavimenti che farebbero inorridire anche la più elastica mamma nostrana. Qui gli anticorpi hanno sicuramente dimensioni da tirannosauro.

Una cosa che colpisce di Phnom Pehn è il contrasto tra supermercati o negozi all’occidentale e sottospecie di garage adibiti a negozi e non so sa che altro,per non parlare del mercato, dove ad ogni passo qualcuno ti segue con un madame cantilenato per offrirti una qualche mercanzia.. Basta uno sguardo ai conducenti di tuk tuk per vedere di tutto: dal tipo un po’ malmesso al ragazzo ben vestito e con le mani curate, al simpatico conducente che ci ha aspettato nonostante la pioggia fuori da un museo. È vero che probabilmente i bassa stagione due turiste europee gli valgono la giornata, ma qui… Come dire… quando piove, altro che catinelle, qui sono piscine olimpioniche.

I tuk tuk a dire il vero meriterebbero un capitolo a parte. Ce ne sono una miriade. Una moltitudine di motorini carrozzati o specie di apini (spiccano anche alcuni a marchio Piaggio) fermi a ogni angolo o che sfrecciano inconsapevoli del senso di marcia, con dribbling carpiato tra auto (tutti suv, immagino per via delle strade non proprio meravigliose) e scooter di ogni marca, modello, dimensione. Non per nulla è pieno di meccanici! Una intera ala del mercato russo è dedicata alla meccanica e dalle bancarelle, invece che vestiti o cibarie, pendono matmitte.

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Questa foto è un tentativo di fotografare un incrocio con il nostro baldo tuk tuk driver che tenta di attraversare la muraglia di scooter per infilarsi contromano.

Il nostro primo impatto con la città, però, è serale, causa pisolino ristoratore protrattosi ben più della mezzoretta utopicamente dichiarata. Una passeggiata sul lungo fiume comunque riusciamo a farla ed arriviamo giusto in tempo per vedere passare uno dei vari battelli turistici illuminato a festa.

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Qui fa buio presto e da subito è chiaro che dovremmo ricalcolare i nostri orari. A quanto pare anche in Cambogia si cena coi polli! In Giappone mi ci ero abituata abbastanza bene. Qui per ora fa strano. In compenso però tutto apre prestissimo. Non avendo grande idea di cosa offra la città, ma avendo comunque una fame da lupi ci infilano in un messicano fusion asiatico che sembra relativamente pulito e che offre un temporaneo rifugio dalla calura e dall’umido (qui devono avere le branchie) grazie a una serie di possenti ventole.

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Il pollo allo zenzero passa l’ispezione del nostro critico. Anche la birra si beve con piacere. Il ritorno in albergo è una camminata un po’ random… Ma alla fine, tra mappe e tentativi di interrogare gli autoctoni, ritroviamo la strada di casa e, soprattutto, un morbido letto!!