Il big circle a modo nostro

Dopo esserci concessi una giornata di pausa dalla maratona angkoriana, il nostro tour prosegue verso uno dei templi più distanti del Big Circle. Un tempio dedicato al femminile, il Beantey Srei, noto anche come Lady Temple (che mi suona male, ma del genitivo sassone da queste parti ancora non è giunta notizia, come pure di diverse preposizioni e coniugazioni verbali). Perché lo chiamano così? Ma perché anche il più grande dei re alla fine vuole tanto, tanto bene alla sua mammina e siccome è un bravo figliolo per la festa della mamma, invece di fare uno dei soliti lavoretti con la colla vinilica che poi nessuno sa dove nascondere, tanto sono imbarazzanti, decide di dedicare a mammà uno dei templi vicino casa! Pratico, economico e di facile manutenzione.20181028_121219

La mattinata parte male. Il tipo con cui ci eravamo accordati per il trasporto non si palesa e non risponde a telefono. Dopo una neanche troppo breve attesa decidiamo di far intervenire i nostri fidi hostel boys che alla fine lo agganciano e, pur con ritardo, ci fanno pervenire il sospirato tuk tuk.

Il nostro driver pare non sapere che è più di un’ora che lo aspettiamo e ci liquida con un asiatico sorriso di convenienza, di quelli che ti lasciamo un po’ in bilico tra il “non ha capito una cippalippa” e il “mi piglia per i fondelli”. Di primo acchito tendiamo a propendere più per la seconda opzione, perché a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre chi si azzecca. La giornata invece dimostrerà che, a parte il solito inglese arrabattato,  siamo capitati con un omino premuroso,  pronto a salvarci dalla calura con ghiacciaia e salviette fresche.

20181029_100609Maciniamo parecchia strada e innumerevoli buche,  ma alla fine il Beantey Srei si materializza all’orizzonte, annunciato da un meraviglioso laghetto pieno di fiori di loto.  Non facciamo in tempo ad arrivare che Giotto attacca bottone con un sorvegliante che ci propone un tour guidato. Il suo cinghialesco fiuto non coglie il fatto che il tizio sta offrendo servigi altrui. Ci ritroviamo con un altro tizio tutto sommato bravino, ma chiaramente dedito ad altro mestiere. Dal codice colore della camicia ipoyizziamo che sia un diverso tipo di sorvegliante. Poco male. Ci costa meno della guida di Angkor Wat, parla relativamente meglio e alla fine ne usciamo con qualche informazione utile.20181028_122603

Risolto il problema festa della mamma, il magnifico sovrano dal nome impronunciabile deve aver realizzato che dedicare templi è un regalo che spacca e gli fa aumentare i punti sul carisma e quindi… che non lo dedichi un tempio pure a babbo? Mica vorrai che ci resti male!

Eccoci dunque al Preah Kahn, controparte maschile del Beantey Srei.

20181028_143114Il tempio è spettacolare e un po’ arcigno nel suo complesso. Decisamente in contrasto con la leggerezza dei bassorilievi della sua controparte femminile. È un tempio guerriero in cui spiccano alcuni scorci veramente spettacolari. Come sempre, ci perdiamo a zonzo tra le rovine e ci passiamo le nostre solite due ore più
della media. L’unico motivo per andarcene è che ci sono altre cose da vedere e qui alle 17.01 tutto chiude e tutti si dileguano.

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Lasciamo a malincuore il Preah Kahn per cercare di arrivare alla postazione scelta per guardarci il tramonto. Si perchè rimirar tramonti qui è uno sport nazionale e anche un discreto business. Lungo la strada infiliamo comunque una breve ma deliziosa sosta a un chicchino di tempietto, il Neak Pean, a cui si arriva attraverso una stretta passerella in legno sul baray. Ci arriviamo in un momento di grazia in cui non c’è quasi nessuno. Sommo gaudio!

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Mentre ripercorriamo la passerella per andarcene ci rendiamo conto di aver avuto di fatto una botta di indiscusso fondoschiena. La temuta comitiva cinese, incubo di ogni viaggiatore, ci marcia incontro compatta in fila per sei col resto di due.

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Sfuggiti con destrezza all’incubo di questo fiume umano ci facciamo scarrozare con viva e vibrante soddisfazione verso la nostra ultima tappa, con l’idea di guardarci un bel tramonto sui templi.

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In realtà la visuale dalla cima del Preah Rup non spazia come speravamo su altre costruzioni in lontananza, ma la vista sulla folta vegetazione è comunque piacevole. Scendiamo che è quasi buio e veniamo riportate in ostello senza colpo ferire. Alla fine,  vista la pazienza dimostrata con i nostri tempi biblici e le premure del nostro chauffeur, che ci ha a suo modo coccolato per un giorno,  decidiamo di concordare un giro ancora più lungo per il giorno seguente.  Non sappiamo chi è più pazzo tra lui e noi… È va bene così!